Cosa proporre a un paziente con maculopatia essudativa legata all’eta’ e che sia portatore di un pacemaker o abbia subito una coronaroplastica o un bypass?

E’ una triade che con la quale sempre più spesso tocca confrontarci. Cosa proporre a un paziente con maculopatia essudativa legata all’eta’ e che sia portatore di un pacemaker o abbia subito una coronaroplastica o un bypass?
Si tratta per noi oculisti di un terreno di gioco con il quale non abbiamo molta familiarità, la maggiorparte dei nostri farmaci sono colliri che nella peggiore delle ipotesi possono provocare qualche alterazione del battito cardiaco, più spesso effetti indesiderarti oculari ma non ci siamo mai trovati di fronte a farmaci che potenzialmente possono provocare eventi trombo-embolici mortali. La letteratura in tutto questo a mio parere non ci aiuta molto. Dall’analisi delle sperimentazioni cliniche sappiamo per esempio che pazienti con storia pregressa di aritmia o infarto trattati con ranibizumab avevano un rischio di nuovi eventi cardiovascolari di tre o quattro volte superiore . Tuttavia nonostante questo dato, il numero di eventi era molto piccolo e non c’erano differenze statisticamente significative rispetto al sottogruppo di pazienti che non aveva storia pregressa di eventi cardiovascolari. Ancora meno sappiamo sulla sicurezza del bevacizumab che teoricamente si dice dovrebbe avere maggiori rischi in quanto permane più a lungo in circolo ed è noto che il bevacizumab iniettato in vena può favorire la comparsa di eventi tromboembolici. Per quanto riguarda il pegaptanib sembra che i dati sulla sicurezza cardiovascolare siano più favorevoli, ma bisogna considerare anche il fatto che l’efficacia è nel complesso inferiore al ranibizumab. Questo è lo scenario che noi oculisti dovremmo affrontare nei prossimi anni, lo stesso che abbiamo dovuto affrontare quando sono entrate sul mercato nuove e più potenti molecole per abbassare la pressione oculare ma con maggiori effetti indesiderati anche se locali (occhio rosso, crescita delle ciglia, pigmentazione dell’iride). In più siamo continuamente bombardati dalle case farmaceutiche che ci mettono mille ansie tirando fuori soprattutto problematiche medico-legali della quali la classe medica è diventata schiava. Per questo motivo vi allego una review uscita sull’ultimo numero della rivista American Journal of Ophthalmology che tratta in modo molto approfondito questo problema.

Buon lettura,
Massimo Nicolo’

Questa è la storia di un mio paziente che è emblematica della situazione che dobbiamo affrontare quotidianamente.
Di recente un paziente di 80 anni che tratto da diversi con bevacizumab anni per una maculopatia essudativa legata all’età ha sviluppato una settimana dopo l’ultima iniezione un importante evento cardiovascolare che lo ha portato a essere operato di urgenza presso la locale unità di cardiochirurgia. Dopo sei mesi di convalescenza durante la quale si riprende completamente, ritorna da me per un calo del visus dovuto ad una recidiva neovascolare. Dopo aver parlato a lungo con il paziente circa la possibilità di cambiare farmaco, decido di prescrivere una iniezione di pegaptanib che tuttavia non poteva essere eseguito in ospedale in quanto il sistema AIFA lo aveva giudicato non elegibile perchè già sottoposto a bevacizumab in struttura pubblica. A questo punto il paziente si rivolge alla direzione sanitaria, la quale mi convoca insieme alla farmacista ospedaliera e al cardiologo per cercare di risolvere il problema. Il cardiologo dopo aver sentito la storiella sugli anti-VEGF e la possibilità che in soggetti a rischio questi potessero essere aumentare il rischio di nuovi eventi cardiovascolari, a trattenuto a stento una risata e mi ha chiesto “Tu sai di quanto aumenta il rischio di emorragia cerebrale nei pazienti trattati con coumadin?”. Ovviamente dopo questo incontro è seguita una accurata visita cardiologica a seguito della quale non è stata riscontrata nessuna controindicazione all’utilizzo del bevacizumab.