La transizione digitale nell’oculistica punta sulla centralità del paziente, ma per un supporto efficace occorre partire dall’ascolto. Ne abbiamo parlato con Massimo Ligustro, Presidente di Comitato Macula

Di cosa parliamo in questo articolo

  • Il paziente oftalmologico: fragile per definizione?
  • Il sondaggio on-line di Occhio alla retina e Comitato Macula individua gli unmeet needs del paziente oftalmologico
  • 5 domande a Massimo Ligustro, Presidente di Comitato Macula

 

Il paziente oftalmologico: fragile per definizione?

Siamo quasi tutti destinati a diventare pazienti oftalmologici. Lo dicono le statistiche e l’allungamento della vista media, che comporta un inevitabile declino delle facoltà visive nell’essere umano. Nella migliore delle ipotesi, il rischio è quello di andare incontro a cataratta, ad un peggioramento di un difetto di rifrazione preesistente o a piccole infezioni; nella peggiore, che ad essere colpita sia la struttura profonda dei nostri occhi, che sovrintende la visione centrale. La degenerazione maculare legata all’età (DMLE) a livello mondiale colpisce l’8,7% della popolazione, interessando una cifra complessiva di 196 milioni di persone (computo del 2020). Gli studi statistici e le proiezioni basate sui numeri attuali e sul trend di invecchiamento della popolazione mondiale stimano che nel 2040 la DMLE interesserà ben 288 milioni di persone. E non è l’unica patologia maculare cronica e progressiva a mettere seriamente a rischio la vista delle persone over 60. Il diabete, causa di retinopatie e maculopatie di natura essudativa (in particolare dell’edema maculare diabetico EMD), è a sua volta in aumento nel mondo, e con essa tutte le complicanze oculari e visive associate. Si tratta di condizioni che se ben trattate consentono al paziente di proseguire una vita più o meno normale, ma, appunto, devono essere diagnosticate con tempestività e curate con regolarità. Comportano comunque limitazioni alla routine quotidiana perché la terapia prevede iniezioni intraoculari a intervalli regolari con un follow up faticoso per il paziente, che deve seguire norme igieniche scrupolose, sottoporsi regolarmente ai controlli, e cercare di darsi regole comportamentali virtuose. Tutto questo è possibile solo se si riesce ad instaurare un rapporto di grande fiducia con il proprio oftalmologo di riferimento, al quale si deve poter ricorrere non solo durante gli appuntamenti concordati, ma anche (e soprattutto) nella vita di ogni giorno. Per fugare timori, per avere più informazioni, per un controllo di emergenza e via discorrendo. Il paziente oftalmologico anziano o con patologie della vista croniche/ingravescenti come la RD o la DMLE non è necessariamente più fragile di chiunque altro. Sappiamo infatti che dopo i 65 anni gli “acciacchi” di varia natura vanno messi in conto, e possono persino generare forme di disabilità parziale.

Quello che rende fragile la vita del paziente oftalmologico, e che ne abbassa drammaticamente la qualità di vita è l’impossibilità o l’estrema difficoltà nell’accedere alle cure di cui ha bisogno, e che esistono. Sono gli ostacoli che si frappongono tra l’assistito e il medico che lo ha in cura – dal MMG, al diabetologo, all’oculista – e che fanno venire voglia di “mollare tutto” e lasciarsi andare. Se farsi curare diventa faticoso quanto scalare una montagna, se raggiungere i centri medici e sottoporsi alle terapie comporta spese ingenti e il coinvolgimento di troppe persone “terze” (caregiver familiari e non), allora la tentazione di evitare tanto stress a costo di perderci la vista, è superiore alla forza di resistervi.

 

Il sondaggio on-line di Occhio alla retina e Comitato Macula individua gli unmeet needs del paziente oftalmologico

Per capire come aiutare i pazienti oftalmologici over 60 più a rischio di abbandono delle cure, è necessario partire dall’ascolto delle loro reali necessità. Un punto di partenza per trovare le soluzioni migliori. Un sondaggio on-line promosso da Occhio alla retina e Comitato Macula ha provato ad intercettare quelli che vengono definiti come gli unmeet needs – i bisogni non soddisfatti – di un campione di 492 persone di cui circa la metà con diagnosi di malattie della retina. I partecipanti – per lo più del Nord Italia (45,9%) avevano un’età media superiore ai 50 anni, con una prevalenza di over 60 (60,2% del totale). Le domande poste vertevano su quelli che abbiamo percepito essere i   punti caldi relativi alla convivenza con malattie della vista e alla conoscenza delle stesse. Il primo quesito era infatti incentrato sul rapporto medico/oculista-paziente, che è stato giudicato “buono” dal 42,2% degli intervistati, e appena sufficiente dal 22,8%. Eccellente o fallimentare – i due estremi delle valutazioni possibili –  hanno registrato entrambi il 17% circa delle preferenze. Non trascurabile in entrambi i casi.

Ma è interessante andare a fondo nell’analisi delle risposte al sondaggio, per scoprire che al secondo quesito – che indagava sulle principali carenze rilevabili nel rapporto con il proprio medico-oculista – la maggioranza imputava alla poca presenza e insufficiente reperibilità la ragione della propria sfiducia. In altre parole, condizioni oggi considerate indispensabili per un buon outcome terepautico, come engagement del paziente e compliance non possono realizzarsi se il rapporto con il medico viene percepito dall’assistito come precario, latitante, troppo faticoso. Se la sensazione è quella di dover “rincorrere” il proprio medico, magari finendo per sentirsi persino invadenti e fastidiosi, è chiaro che il giudizio sull’assistenza non potrà che essere scarso. Ecco che la tecnologia digitale può diventare lo strumento ideale per andare a colmare questo gap e per cucire tra oculista e paziente un rapporto fidelizzato e positivo. A tal riguardo, ecco che uno dei principali quesiti della survey verteva su questo tema.

Alla domanda: “Come valuti oggi l’utilizzo di strumenti tecnologici nel rapporto tra medico e paziente”, il 28,5% del campione rispondeva: “Ormai imprescindibile”, a fronte di un 26,2% che lo giudicava: “Inutile”. Come considerare queste due risposte vicine come percentuale, e agli antipodi come posizione? È chiaro che la dimestichezza con il mezzo digitale e con l’uso dei dispositivi telematici fa la differenza. L’alfabetizzazione digitale non è tanto una questione di età anagrafica, quanto di propensione e di occasione d’uso. Se vogliamo far diventare la transizione digitale nell’healthcare system e nel settore dell’oftalmologia in particolare una realtà concreta, occorre colmare questo gap e avvicinare quante più persone possibile all’uso consapevole dello strumento telematico. Le persone over 60 hanno tutto l’interesse a diventare abili nell’uso del digitale perché è proprio attraverso questa via e questo strumento che possono raggiungere un maggior controllo sulla propria salute – ad esempio usando regolarmente le app gratuite di self monitoring e sottoponendosi ai test della vista on-line – e comunicare in modo diretto, facile e regolare con il proprio medico di riferimento. Saperlo, e attuarlo, però, sono due passaggi non automatici che vanno senza dubbio agevolati.

Ricapitolando: il principale bisogno del paziente oftalmologico (e, forse, del paziente cronico tout court) è quello di “sentire” il pieno supporto del proprio medico-oculista, e di sapere come raggiungerlo in caso di necessità. Secondariamente, ogni paziente con disturbi visivi e/oculari cronici o progressivi, che debba sottoporsi a terapie a vita che implichino un certo grado di invasività – es. iniezioni intravitreali per il trattamento delle maculopatie essudative – ha il diritto di avere informazioni puntuali e facili da comprendere su cure, gestione degli eventuali effetti collaterali, misure igieniche e comportamentali da seguire. Infine, dal momento che questo tipo di servizio prevede un flusso di comunicazione continuo e diretto con l’oftalmologo di fiducia, il paziente deve essere messo nelle condizioni di accedere e di usare la tecnologia digitale al meglio delle possibilità oggi offerte, anche se non ne comprende ancora appieno l’utilità o manifesta scetticismo o sospetto. Quest’ultimo, è infatti sempre figlio della non conoscenza. Tanta strada da fare, ma la via è segnata.

 

5 domande a Massimo Ligustro, Presidente di Comitato Macula

  1. Quali sono le paure più grandi dei pazienti che si rivolgono a Comitato Macula?

La paura principale è quella di restare ciechi. Le persone che telefonano alla nostra associazione in genere hanno già avuto una diagnosi di maculopatia e non sono state adeguatamente informate sulle possibili conseguenze, per questo ci chiamano spaventati. Ci sono altre paure comuni, la prima ha a che fare con le iniezioni intravitreali. Hanno paura della puntura, di sentire dolore, di avere effetti collaterali, e cercano informazioni e rassicurazioni. Non sempre, infatti, i medici sanno come dare queste notizie ai pazienti, e quello che loro percepiscono è che dovranno fare delle cure molto invasive, e che la loro vita ne verrà stravolta. A tal riguardo, un altro timore ricorrente è quello di perdere la patente, di perdere il porto d’armi, di non poter più fare una vita attiva e autonoma come prima, di non poter lavorare.

  1. App e piattaforme interattive sono il futuro dell’assistenza sanitaria, ma il paziente oftalmologico medio quanto è davvero proprio ad usare la tecnologia digitale nel rapporto con il proprio oculista? Qual è la vostra esperienza?

Non c’è diffidenza in realtà, tutti usano smartphone e pc. Quello che manca è l’abilità all’uso corretto del supporto digitale, che porti ad avere un risultato. Da tenere presente che stiamo parlando di persone che già non vedono bene, e che quindi devono poter usufruire di programmi fatti apposta per questo problema, con caratteri, guide e tutorial adeguati. Devono poter accedere ad applicazioni fatte apporta per colmare il gap tra paziente e sistema sanitario che avvicinino i medici ai pazienti. Darsana, ad esempio, va in questa direzione, perché è un’app che serve per il self monitoring dei disturbi della vista e che quindi comporta vantaggi sia per il medico e che per il paziente. Anche Testalavista, di cui Comitato Macula è promotore e partner, funziona in questo modo. Non c’è diffidenza nei confronti del digitale, per questo si deve puntare a far conoscere i programmi che sono già disponibili e spingere quante più persone possibile ad usarli. A tal riguardo mi fa piacere citare il Comune di Genova, che è stato il primo in Italia a far collegare il progetto Testalavista, tramite il quale è possibile sottoporsi on-line al test della griglia di Amsler per l’autovalutazione della visione centrale con l’app IO. Basta scaricare l’app e si viene indirizzati direttamente al link del sito per fare il test, avere subito i risultati e capire se è il caso di farsi fare un controllo del fundus oculi ed eventualmente un OCT. Una collaborazione che è partita a marzo 2022, e di cui Comitato Macula è molto orgogliosa.

  1. Quindi la tecnologia digitale può fornire un’assistenza virtuale che serva anche a migliorare l’empowerment del paziente oftalmologico e il suo grado di autonomia?

Sì, senz’altro. Un esempio facile da capire è Alexa, che risponde ai comandi e alle domande vocali. Programmi di sintesi vocale basati su software di intelligenza artificiale possono essere molto utili nella vita di ogni giorno di chi abbia dei deficit visivi, e semplificarla.

  1. Molti pazienti oftalmologici si rivolgono alla sanità privata, salvo poi essere “dirottati” verso strutture pubbliche a seconda del problema da curare. Questa prassi collaudata genera uno scollamento tra utenza e classe medica, e difficoltà nella scelta del tipo di servizio, perché se nel privato a volte latita la competenza, nel pubblico il problema sono i tempi di attesa biblici. Comitato Macula cosa consiglia alle persone che chiedono cosa convenga fare in termini di screening e terapie?

Dobbiamo essere molto chiari: solo nel mondo della sanità pubblica esistono Centri oculistici di eccellenza per le patologie della retina. Perché nel privato succede che il paziente viene spremuto con trattamenti speculativi non sempre, anzi, spesso mai, davvero efficaci, e talvolta neppure del tutto approvati. E non sempre il privato ha le attrezzature all’avanguardia per i trattamenti delle malattie retiniche e maculari. Inoltre non tutti gli oculisti “generici” da cui si può andare per una visita, sono anche esperti della retina. C’è un altro fattore da considerare: per avere accesso al miglior farmaco, ad esempio per le maculopatie, o a certi trattamenti, bisogna essere in cura presso un Centro universitario, o in un polo ospedaliero di un certo rilievo, o da oculisti che vi lavorino. Infine attenzione alla parola cronico. Le retinoptie e le maculopatie sono malattie croniche, da cui non si guarisce ma che si possono bloccare. Il privato non usa mai questa definizione, perché non gli conviene (tranne le dovute eccezioni). Ciò può far nascere delle false speranze nel paziente. Per queste ragioni noi consigliamo sempre di fidarsi della sanità pubblica.

  1. Nonostante siano in aumento, le malattie della vista legate all’età e alle malattie croniche come il diabete, sono ancora trascurate, poco conosciute e poco diagnosticate rispetto ad altre complicanze. Su cosa bisognerebbe puntare subito: screening a tappeto, sensibilizzazione nelle scuole e nei luoghi di lavoro, maggior coinvolgimento dei MMG?

La prima cosa da fare è sensibilizzare i diabetologi sulle complicanze oculari, e non solo sul piede diabetico o sulla sofferenza renale. Poi puntare alla prevenzione a costo zero. Un modo semplice sarebbe quello di proporre il test della griglia di Amsler nelle visite del lavoro per ogni lavoratore, nelle autoscuole per la revisione della patente, specie dopo 10 anni. Negli ambulatori di MMG basterebbe che il medico sottoponesse tutti gli assistiti ad un esame della glicemia, e prescrivesse di routine il controllo della vista e del fundus oculi. In questo modo si potrebbe recuperare quasi un anno nella diagnosi e nell’inizio delle cure, considerando che i tempi di attesa sono di circa otto mesi. Dal 2021 noi di comitato Macula, Comune di Genova, Regione Liguria e Ospedale San Martino stiamo promuovendo Occhio al diabete, che ora è alla fase 2.0. Si tratta di una campagna di sensibilizzazione per spingere i cittadini con diagnosi di diabete da cinque anni a prenotarsi per uno screening della vista gratuito. Il progetto nasce proprio dalla constatazione che troppe persone arrivano con maculopatie diabetiche avanzate perché nessuno ha detto loro che tra le complicanze del diabete ci sono quelle oculari, e che gli occhi sono tra i primi organi a dover essere controllati. Quindi è importantissimo per prima cosa sensibilizzare i medici – diabetologi e MMG – sul fatto che i pazienti diabetici devono fare controlli oculistici, e poi… farli fare dovunque sia possibile e il prima possibile.

 

Fonti|

Occhio alle retina 2021| numero 5

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2214109X13701451#:~:text=This%20systematic%20review%20and%20meta,to%20288%20million%20in%202040.